“Caravaggio? Le novità ci sono ma occorre superare incomprensioni, rivalità e persino schieramenti”. Parla Stefania Macioce

Intervista a Stefania Macioce

-La prima questione che ti porrei riguarda quanto sta avvenendo da qualche tempo a questa parte intorno a Caravaggio, diciamo così, è cioè questo vero e proprio insorgere di esposizioni, convegni, pubblicazioni che riguardano le indagini diagnostiche su determinate opere del Merisi, per ultima la mostra a Palazzo Reale curata da Rossella Vodret incentrata sul tema della diagnostica scientifica applicata all’analisi di 20 opere di Caravaggio ritenute ‘certe’. Tu sei tra i massimi conoscitori della pittura di Caravaggio ed hai certamente visto l’esposizione e letto attentamente il catalogo; che idea ti sei fatta? A questo punto occorrerà aspettare gli esiti delle indagini per stabilire l’autografia di un’opera? Cioè, credi possibile che i risultati raggiunti con le indagini possano dirimere antiche questioni sulla tecnica, sul ductus, sui materiali utilizzati dall’artista? 
R: Il risultato di queste indagini è un’indubbia acquisizione, le possibilità offerte dalla diagnostica odierna suggeriscono nuove aperture e inducono ad allargare continuamene il campo delle indagini come è giusto che avvenga. La ricerca impone di orientarsi verso nuove acquisizioni e in tal senso la mostra di Milano curata da Rossella Vodret ha fornito nuovi dati, così come avvenne alla fine degli anni ’90 con la mostra Come nascono i capolavori, curata da Mina Gregori. Il problema semmai può nascere dal pericolo insito nel trarre conclusioni definitive, l’assertività dei giudizi non è consigliabile in nessun ambito attinente alla ricerca. La mostra ha offerto nuovi importanti elementi di riflessione, risultato di una lunga indagine iniziata attorno al 2010. Ora si sa molto di più, resta il fatto che una visione esaustiva, al momento resta abbastanza utopica, essa prevedrebbe il confronto di analisi su tutta l’opera di Caravaggio secondo criteri diagnostici analoghi, ma anche divergenti, ma credo che un risultato oggettivo di tipo matematico sia impossibile. Il titolo del saggio scritto da Claudio Falcucci nel catalogo Così dipingeva il Caravaggio, forse, è molto esemplificativo e lodevolmente obiettivo. Le acquisizioni ci sono e chiariscono molti aspetti relativi al modo di procedere nella costruzione dell’immagine pittorica da parte di Caravaggio, dati importanti si ricavano ad esempio in merito alle preparazioni, ma anche dall’esame dei pigmenti: in linea di massima ora si sa bene come si muoveva nelle sue scelte Caravaggio, anche se un margine di possibili varianti persiste in rapporto a situazioni contingenti che possono aver influenzato necessariamente le variabili della sua tavolozza. Per quanto concerne Caravaggio poi, in un panorama più ampio delle ricerche, le letture non sono sempre oggettive, ma condizionate da posizioni critiche contrastanti, segnate talvolta da esplicite o implicite rivalità, o addirittura schieramenti che nel caso del grande pittore lombardo sembrano perpetrare anche aspetti propri della sua personalità. Si è parlato per almeno quarant’anni d’interdisciplinarietà, ma mai come ora la cooperazione delle discipline si rivela necessaria, la settorialità può dare risultati utili, ma da riesaminare in un contesto più ampio, un po’ come accade per la medicina, e in tal senso la mostra offre un ampio quadro di riferimenti.
–Faccio anche a te la domanda che ho rivolto agli altri studiosi intervenuti in questa nostra inchiesta; cioè se non intravedi il rischio che una simile impostazione finisca poi per ridimensionare se non proprio rendere non dico inutili ma quanto meno secondari l’analisi del linguaggio pittorico, lo studio dei documenti, la ricerca d’archivio, i confronti testuali, insomma quella che è solitamente la prassi che impegna lo storico dell’arte? 
R: Non lo credo. Il risultato delle indagini diagnostiche concerne principalmente la tecnica, i pigmenti, i supporti e di certo offre risultati di rilevante interesse relativi ad esempio alle fasi dell’ideazione, dei cambiamenti in corso d‘opera, dei ripensamenti; altri dati possono riguardare i pigmenti e i supporti adoperati dall’artista, e fornire nel loro insieme elementi concreti anche sul piano della datazione o talvolta persino dell’autenticità, sebbene i mezzi di contraffazione abbiano oggi anch’essi un elevata qualità. Tuttavia ciò non può escludere il confronto con i dati storici e documentari (a proposito nel catalogo si riferiscono a me documenti napoletani concernenti il Cerriglio ‘ritrovo di letterati’(?) (colgo l’occasione per chiarire che non ho mai pubblicato questo!) in un reciproco confronto tentando come si può una necessaria integrazione.
Esistono piani di lettura altrettanto complessi che inseriscono l’opera pittorica all’interno di un contesto non soltanto figurativo, ma anche e soprattutto culturale. Il ruolo della committenza, delle fonti, ciò che si ricava da inventari e indagini archivistiche, non può essere smentito da indagini diagnostiche, le discipline debbono intersecarsi e procedere parallelamente.
Un problema che si pone tra gli studiosi è se Caravaggio sia arrivato a Roma intorno al 1592, oppure nel ’95-96 come invece si ritiene ora da più parti dopo le scoperte all’Archivio di Stato di Roma; che idea ti sei fatta su questa nuova possibile datazione, che porterebbe a rivedere la collocazione cronologica delle opere precedenti l’ingaggio presso il Del Monte? 
R: Le scoperte archivistiche del 2011, seguite alla mostra Caravaggio una vita del vero, costituiscono un precisazione utile dalla quale non si può al momento prescindere. Personalmente però mi è difficile pensare che la testimonianza di un garzone di barbiere come Pietro Paolo Pellegrini, possa essere così incisiva e ineludibile, un po’ per la modestia del personaggio e un po’ per il tono approssimativo della testimonianza. Non riesco ad accettare che il percorso pittorico di Caravaggio, dagli iuvenilia fino alla Contarelli, sia stato compiuto in cinque anni: trattandosi di Caravaggio è possibile che un percorso di maturazione ideativa sia stato veloce, ma io ho qualche esitazione a riguardo. Tutto potrà chiarirsi quando una fortunata ricerca porterà alla luce opere e fatti relativi al pittore in quel lungo periodo trascorso dal 1587 [sic per 1588], anno in cui lascia la bottega di Peterzano al 1595, quando è menzionato per la prima volta a Roma. Quando lascia la bottega del maestro, sappiamo che il pittore resta ancora a Milano per un po’, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere con la pittura. Nel 1587 [sic per 1588] Caravaggio ha 16 anni, ma nel 1592 -alla metà di questo anno è ancora documentato a Milano- ne ha 21: possibile che non abbia eseguito nessun dipinto prima? A me sembra poco verosimile ritenere che egli cominci a produrre soltanto nel 1595 o al massimo 1596. I dati emersi dal Foglio delle Quarantore attestano inconfutabilmente che Caravaggio compare a Roma alla festa di San Luca nell’ottobre del 1597, mentre la deposizione di Pietro Paolo Pellegrini, garzone del barbiere, assesta la presenza a Roma di Caravaggio, ventottenne, nel 1596, ma a questa data Caravaggio dovrebbe in realtà avere 25 anni, come del resto ipotizzato dal suo padrone Luca. Come si vede c’è un margine di approssimazione in queste testimonianze. Al momento i fatti noti sono questi, ma non sappiamo nulla di concreto a livello documentario, per quanto concerne il periodo compreso tra la metà del 1592 e il 1596, e non si può escludere nessuna ipotesi. Spostare tutta la datazione dei dipinti in rapporto a questa data è frutto di un ragionamento logico e la cronologia proposta da Alessandro Zuccari è attendibile, tuttavia resta difficile concentrare opere -nemmeno tanto poche- e tanto diverse, in un periodo così ristretto a ridosso della Contarelli: qualche perplessità può essere lecita [...]

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